Perché cominciare da “Portnoy”? Perché la galassia di Roth gli ruota intorno


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Il colloquio
Torna in libreria un'opera che contiene “un’idea perduta di quello che i libri erano un tempo. E che ormai ci siamo dimenticati”. Ciò che vediamo oggi, dirompente o meno, “è molto blando”. Intervista a Matteo Codignola sulla nuova traduzione Adelphi
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Fino a non molto fa Philip Roth sembrava il nume tutelare di chiunque sognasse di pubblicare un libro. Negli ultimi anni, non che sia stato dimenticato, ma il suo nome appare sempre meno nelle frasi motivazionali e negli eserghi, sostituito nelle bolle nazionali di aspiranti autori o di soliti stronzi (cit. Arbasino) dai Carrère, dalle Ernaux e da una riscoperta sudamericana – Bolaño e Cortázar in primis. Che sia per snobismo, per anti americanismo o per questioni legate alle ondate post #MeToo, sembra che ci si stia un po’ allontanando dall’epica di Nathan Zuckerman, David Kepesh e Alexander Portnoy. Quindi bene che lo scrittore ora trovi, in Italia, una nuova vita, migrando dall’Einaudi all’Adelphi, entrando così nel catalogo tra Giorgio Colli e Kundera. E subito polemichette da mondo editoriale, con i soliti (stronzi e non) che sui social sfogliano la copia omaggio di Portnoy (e non più Lamento di Portnoy) piagnucolando sul cambio di titolo. Abbiamo chiesto di questa scelta a Matteo Codignola, che ha tradotto e curato il libro che nel 1969, con le sue fantasie sessuali, scandalizzò la comunità ebraica di Newark e un po’ il mondo intero. “Complaint vuol dire molte altre cose, non solo lamento”, dice Codignola al Foglio. “L’ha detto spesso anche Roth nelle interviste. In italiano significa sostanzialmente lagna, in inglese è un termine psichiatrico, ma anche giudiziario… Vuol dire molte cose diverse che non coincidono con lamento”.

Un reclamo, una rimostranza, ma anche un malessere. “Poi l’idea dietro a questo lavoro è presentare un libro come fosse scritto nel 2025 per i lettori del 2025. Non dico una versione nuova, ma nuda. Senza le polemiche e i fanatismi di vario segno che Portnoy si porta dietro da quando è nato. Vorrei che il mio lavoro fosse un invito a leggerlo, o rileggerlo, senza partiti presi. Credo sia la via migliore per scoprire quello che il libro contiene, e che la sua lunga storia ha finito per nascondere. A me è successo”, continua Codignola. “Quando l’ho preso in mano credevo di sapere varie cose, ma ho trovato sotto gli occhi un oggetto molto diverso da quello che ricordavo”. Adelphi pubblicherà, pian piano – come sta facendo con Sciascia, Simenon e Ian Fleming – tutta l’opera del Roth del New Jersey (pubblicando già da anni il Roth dell’oblast’ di Leopoli).
Ma perché iniziare da Portnoy? “Certo, potevamo fare tutto in ordine cronologico, partendo da Goodbye, Columbus. Però il lavoro di Roth ruota intorno a Portnoy, la sua galassia narrativa ha al centro questo attrattore strano, intorno al quale si dispongono tutti gli altri pianeti, almeno fino a Pastorale americana. E allora, tanto valeva cominciare dall’inizio. In un modo o nell’altro,” dice al Foglio Codignola, “quasi tutto, per Roth, derivava da Portnoy, da quello che era successo intorno al libro e di conseguenza a lui, da come quel libro aveva cambiato la sua immagine di autore, il suo rapporto con la popolarità… Dopo Portnoy, Roth non è più stato lo stesso, e non ha mai smesso di chiedersi perché”. Quando il volume è uscito uno scholar come Gershom Scholem ha commentato: “Questo libro rischia di provocare un secondo Olocausto”. Ma oggi non ci si scandalizza più per le scene di masturbazione. Quello che colpisce, ci dice Codignola, “è quello che uno scrittore pensava di poter fare in un libro”. Portnoy contiene “un’idea perduta di quello che i libri erano un tempo. E che ormai ci siamo dimenticati. Quello che vediamo oggi, anche quando pretende di essere dirompente, è molto blando. E’ scomparsa l’idea che c’era qui, ovvero che un libro potesse buttare all’aria le cose”.
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